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Isola del Giglio - 21 Luglio 2004

UNA DONNA D'ALTRI TEMPI...

Riceviamo da un nostro lettore questo messaggio che con piacere pubblichiamo :

Ciao Eusebia!
Giovedì 15 Luglio scorso alle ore 11.00 a Giglio Castello moriva all'età di 98 anni compiuti, Eusebia Bancalà.
Io che sono abituato, per mestiere, anche a vedere morire la gente, dove la doverosa constatazione di morte, in questa occasione mi sono trattenuto qualche minuto in più vicino alla salma, con uno stato d'animo particolare, come se avessi visto crollare parte delle mura del Castello o un pezzo del Faraglione.
Ciao Eusebia!
Ti ricorderò sempre, nei ricordi sfumati di bambino, nei primi anni cinquanta, vincitrice delle sagre dell'uva, come produttrice del miglior ansonaco dell'isola. Ti aveva anche elogiato, tanti anni dopo, Domenico Solari nel libro “Giglio Beato Scoglio”, che scrivemmo nel 1969 e ricordava come, già anziana, continuavi a coltivare una delle più belle vigne dell'isola; nonostante “già anziana”, avresti continuato a farlo per altri trent'anni!
Ti ricorderò come sorella di Laura, Filomena e Clementina, piccole e buone come te. Ti ricorderò come figlia di Placido, sacrestano e vero gigliese, che dopo i primi bombardamenti sul Castello dell'ultima guerra si preoccupò, in una notte buia, di mettere il Braccio di S. Mamiliano, donato da Mons. Miliani nel ‘700, in una cassa di legno e seppellirlo nella sua vigna del Campese, per poi riportarlo, a guerra finita, con una processione accompagnata dalla banda, su per la vecchia mulattiera, affinché, ancora per secoli, ogni anno, il 15 settembre, potesse solennemente sfilare per le vie del Castello.
Ricorderò la tua casa e ti sarò grato per la sensazione che mi donavi, appena varcata la sogli, di tornare indietro nel tempo per decine e decine di anni.
Ricorderò il pavimento di mattoni, la tua camera, il baule, il canterale antico, i santi sotto le campane di vetro, la grande cornice di legno con la foto del fratello morto nella seconda Guerra Mondiale.
Ricorderò l'abbraccio di Nanni di Libera, che ti stritolava nelle sue braccia grandi, ogni anno quando tornava al Giglio dalla Germania, e veniva subito a salutarti, lui emigrato ma che da giovane era stato contadino vicino alle tue vigne del Serrone ed aveva portato con sé, in Germania, il ricordo di tutte le tue tenerezze nei tempi della fame.
Ti ricorderò sdraiata sul lettino dell'ambulatorio la sera che, con un collega, ti ricucimmo la testa senza che ti lamentassi una sola volta. Eri caduta al Serrone e ti eri procurata una enorme ferita al cuoio capelluto, che aveva praticamente scoperto il cranio. Non ti angosciasti. Non chiamasti l'elicottero (a quei tempi comunque non c'era e non credo che tu abbia mai conosciuto il telefono cellulare). Abituata a stati d'animo ormai ignoti a noi delle nuove generazioni, ti sedesti calma su una cote, “disinfettasti” la testa con un po' di vinella e, da sola dietro l'isola, pensasti :”Qualcheduno passerà!”.
Per fortuna passò Giacchino di Tilde che ti accompagnò all'ambulatorio del Castello. Già un mese dopo era inutile cercare, sulla tua fronte, tracce della cicatrice della ferita.
Ricorderò la serenità con cui salutasti l'ultima volta tua sorella Clementina, deceduta poco prima di te, dicendole:”Dì a mamma e a babbo che fra poco vengo” con lo stesso tono pacato di una persona che dice che tarderà un poco per il pranzo.
Penso che la più bella definizione di te l'abbia data Biagio di Bugia quando, cercandoti con gli occhi nelle vigne del Serrone, dove tu silenziosamente lavoravi, non riusciva a vederti perché il colore della tua pelle e la polvere sul vestito ti mimetizzava con le greppe come se tu e l'isola foste diventati un'unica cosa.
Ciao Eusebia
.
Ti ho salutata per l'ultima volta nella tua casa antica in una calda giornata di Luglio; pensavo alle tue vigne del Serrone ormai inselvatichite dai mucchi e dalle cepite ed avevo nelle orecchie i singhiozzi e il pianto sincero della Polacca (o Ucraina?) che ti aveva amorevolmente accudita negli ultimi mesi, espressione, lei, di un'epoca e di un Giglio molto diversi da quelli che tu ti sei portata via per sempre.

Schiaffino Armando



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